Spettri ed analisi spettrale

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un po' di astrofisica...

 

SPETTRI ED ANALISI SPETTRALE

by Pio Passalacqua

Per millenni e millenni nel messaggio portato dalla luce che ci perviene dagli astri è stata letta solo la parte che ce ne indica la posizione nel cielo. Della luce si considerava soltanto la direzione di provenienza e quindi si poteva unicamente stabilire che questa o quella stella si trovavano in questa o quella posizione rispetto a determinati riferimenti fondamentali che l’uomo era riuscito ingegnosamente a fissare; una informazione puramente geometrica. E su questa sola informazione è stato costruito tutto l’edificio dell’astronomia classica fino a Copernico, Galileo, Keplero, Newton, Herschel.

Fu solo verso la fine del ‘700 che l’intensità della luce delle stelle cominciò a divenire oggetto di studio sistematico (con Herschel). Ma fu soprattutto quando si scoprì l’artificio di scomporre la luce nelle sue componenti elementari, ottenendone il cosiddetto spettro, che fu possibile cominciare a decifrare il messaggio proveniente dal Sole e dalle altre stelle (Fraunhofer - Kirchoff).

LO SPETTRO

Tutti hanno visto l’arcobaleno, non è altro che la luce del Sole suddivisa nelle sue componenti di differenti lunghezze d’onda. Le goccioline d’acqua sospese nell’aria che danno l’arcobaleno separano una dall’altra le radiazioni di differente lunghezza d’onda deviandole in misura diversa, cosicchè l’occhio le distingua separate, danno cioè quello che si suole chiamare spettro. La sensazione ottica è molto complessa: fra le varie forme che simultaneamente assume, una dipende dalla maggiore o minore quantità di luce che penetra nella pupilla nell’unità di tempo ed è la sensazione della " intensità " ; un’altra dipende dalla lunghezza d’onda della luce e tale sensazione si dice " colore ". Le onde più corte che il nostro occhio può percepire danno una sensazione che chiamiamo violetto, le più lunghe percettibili danno la sensazione che chiamiamo rosso cupo. Tra questi estremi abbiamo nell’ordine: l’azzurro, il verde, il giallo, l’arancio. Al di là del rosso si ha il nero, un nero che viene detto " infrarosso " ed al di là del violetto si ha pure un nero, un nero che viene detto " ultravioletto ".

Per studiare la composizione della luce e stabilire come è ripartita l’intensità fra i vari colori si usano appositi strumenti che si chiamano spettroscopi e spettrografi.

Con lo spettroscopio lo spettro viene studiato guardandolo direttamente attraverso l’oculare dello strumento; con lo spettrografo lo spettro viene invece registrato su una lastra fotografica.

La luce da esaminare viene fatta entrare nello spettrografo attraverso una apertura strettissima ( centesimi di millimetro di larghezza ed alcuni millimetri di lunghezza ) che viene chiamata fenditura.

Dall’interno dello strumento, la fenditura, così illuminata, appare come se fosse essa stessa la sorgente di luce e lo spettrografo dà sulla lastra fotografica un’immagine della fenditura, cioè una riga luminosa, per ogni lunghezza d’onda presente nella luce.

La separazione delle onde di varia lunghezza d’onda è fatta da un prisma che sfrutta la deviazione che la luce subisce nel passare dall’aria al vetro e viceversa e che è differente per le differenti lunghezze d’onda. Ci sono inoltre due obiettivi, uno per convogliare la luce che proviene dalla fenditura sul prisma e l’altro per mettere a fuoco, sulla lastra fotografica, la luce separata dal prisma nei vari colori.

Le righe nello spettro appaiono tanto più lontane una dall’altra quanto maggiore è la differenza di lunghezza d’onda.


Fig.1) Schema di uno spettrografo. La luce proveniente dalla lampada viene suddivisa dal prisma nelle sue componenti di diverso colore e va a formare nel piano focale della seconda lente altrettante immagini della fenditura d'ingresso.

Se la sorgente emette radiazioni di qualsiasi lunghezza d’onda, allora le varie immagini della fenditura risulteranno attaccate l’una all’altra e lo spettro assume allora l’aspetto di una striscia continua dal violetto al rosso che si chiama spettro continuo.

LO SPETTRO CONTINUO

Qualunque corpo emette radiazioni elettromagnetiche, sempre; però l’emissione cresce rapidamente col crescere della temperatura.

Come si sa la più bassa temperatura possibile è 273,2 gradi centigradi sotto zero. Infatti la temperatura di un corpo dipende dalla velocità media delle particelle elementari che lo costituiscono, alla temperatura di -273,2° ogni velocità delle particelle si annulla ed è chiaro che una temperatura più bassa di questa non ha senso.

Consideriamo un corpo solido. A temperatura prossima allo zero assoluto la radiazione che emette è praticamente nulla, da mano a mano che la temperatura aumenta, la radiazione comincia a divenire sensibile prima nella regione delle onde radio, poi anche nell’infrarosso. Col crescere della temperatura il massimo d’intensità dell’energia irradiata si sposta sempre più verso le minori lunghezze d’onda.

Quando la temperatura raggiunge circa 700° K (430° C) benché il massimo dell’intensità sia ancora nell’infrarosso, il corpo comincia a divenire luminoso: dapprima una luce rossastra cupa, poi salendo ancora la temperatura, rosso-arancio, giallo, poi bianco, poi bianco-azzurro.

Se la luce emanata da questo corpo incandescente viene osservata con uno spettroscopio, si vede uno spettro continuo; e come abbiamo già detto si nota che col crescere della temperatura il massimo dell’intensità si sposta sempre più verso le minori lunghezze d’onda.

Per un solido incandescente col crescere della temperatura aumenta l’intensità e cambia il colore. Però a pari temperatura, sia l’intensità che il colore sono alquanto diversi a seconda della natura del corpo che viene riscaldato: se è ferro, o argento o carbone ecc.

Per avere un riferimento standard, i fisici ricorrono ad un corpo ideale che ha la proprietà di emettere con intensità superiore a quella di qualsiasi altro corpo a pari temperatura (corpo nero). Per il corpo nero ad una data temperatura, la distribuzione della radiazione emessa è una sola e non può essere che quella, quale che sia la sostanza che lo costituisce.

L’intensità di emissione del corpo nero nelle varie lunghezze d’onda a una data temperatura è rappresentata da un grafico che si chiama curva di Planck. Per ogni temperatura si ha una diversa curva di Planck.


Fig.2a) Curva di emissione del corpo nero, cioè ripartizione fra le diverse lunghezze d'onda dell'energia irradiata da un corpo nero a quattro diverse temperature, da 3000° a 6000° assoluti. A 3000° gran parte dell'energia viene irradiata su lunghezze d'onda superiori a  7500A e cioè nell'infrarosso; al crescere della temperatura l'irraggiamento si sposta sempre più verso le onde di minore lunghezza. A 5800°, che è la temperatura superficiale del Sole, il massimo cade proprio nel bel mezzo della regione visuale, dove l'occhio ha la massima sensibilità e gran parte dell'energia emessa è luce.
Fig.2b) Curve di emissione del corpo nero alle temperature di 6000°, 7500° e 9000° assoluti. La quantità totale di energia irradiata cresce così fortemente che si è dovuto cambiare scala al disegno rispetto alla figura precedente. Come si vede, a 9000° di temperatura il massimo di intensità cade già nell'ultravioletto.

Osservando la curva di Planck si nota come l’emissione totale (che è misurata dall’area racchiusa da ciascuna curva) cresce rapidissimamente col crescere della temperatura e come il massimo d’intensità si sposta verso le minori lunghezze d’onda, cioè nella direzione dal rosso verso il violetto.

A bassa temperatura l’emissione avviene quasi esclusivamente nel lontano infrarosso; poi, crescendo la temperatura, il massimo a poco a poco si porta nella regione visibile dello spettro e gran parte della radiazione viene allora emessa come luce. A temperature ancora superiori cade nell’ultravioletto.

legge di Wien : l m * T = cost. 2880

Esempio per il Sole: temperatura 5800° lunghezza d’onda del massimo d’intensità (l m) = 2880/5800 = 0,496 micron, nel bel mezzo della regione visibile dello spettro.

LO SPETTRO A RIGHE

Lo spettro di un gas non eccessivamente denso e sufficientemente caldo ha un aspetto del tutto diverso da quello di un solido o di un liquido incandescenti: invece di una striscia continua con i colori dell’iride, guardando all’oculare di uno spettroscopio si vede una successione di righe luminose isolate di diverso colore.

Ognuna di queste è un’immagine della fenditura in una particolare lunghezza d’onda; il numero, la posizione e l’intensità delle righe sono diversi a seconda della natura chimica e della temperatura del gas.

L’insieme delle righe che compaiono nello spettro è caratteristico ed inconfondibile di ogni elemento chimico.

Se la luce di un solido incandescente attraversa un gas freddo, lo spettro continuo della sorgente appare solcato da righe oscure che occupano le stesse posizioni delle righe che apparirebbero luminose se quel medesimo gas fosse riscaldato a sufficiente temperatura. Le righe oscure non sono altro che luce mancante in quelle particolari lunghezze d’onda; luce sottratta dal gas alla sorgente: un gas assorbe quelle stesse radiazioni che è capace di emettere (legge di Kirchoff).

La luce di una lampada essendo una sorgente di luce continua, emette radiazioni ( o fotoni volendo usare la terminologia corpuscolare) di ogni possibile lunghezza d’onda: non c’è nessun vuoto di lunghezza d’onda fra una radiazione e l’altra. Se questa luce attraversa un’ampolla contenente un gas, gli atomi di questo gas assorbono, eccitandosi, una percentuale dei fotoni aventi energia pari ad uno dei salti di livello possibili (poiché, secondo la meccanica quantistica, gli elettroni in un atomo possono muoversi soltanto su orbite ben determinate, per saltare da un’orbita all’altra hanno bisogno di energia di definita lunghezza d’onda).

I fotoni assorbiti vengono riemessi entro un miliardesimo di secondo; però non tutti vengono riemessi nella direzione originaria ma bensì ciascuno in una direzione a caso, per cui solo una parte dei fotoni riprende la direzione dell’osservatore che guarda la lampada attraverso il gas. Perciò a questo osservatore arrivano meno fotoni, aventi lunghezza d’onda caratteristica di quel gas, di quanti ne ha emessi la lampada nella sua direzione.

Conseguentemente, se di questa luce si osserva lo spettro, in corrispondenza alle lunghezze d’onda delle radiazioni assorbite appaiono delle righe oscure (luce che manca dal continuo emesso dalla lampada). Se invece si osserva l’ampolla obliquamente, in modo che all’osservatore non giunga la luce diretta dalla lampada, si vedranno solo i fotoni riemessi dal gas in seguito alla diseccitazione degli atomi, e nello spettro appariranno le righe luminose caratteristiche di quel gas.

Fig.3) Una sorgente incandescente (come il filamento di una comune lampada) dà uno spettro continuo. Se però la luce della lampada attraversa una massa di gas "freddo" allora nello spettro continuo appaiono righe oscure dovute all'assorbimento operato dal gas.
Se lo stesso gas viene osservato obliquamente in modo da non ricevere la luce diretta della lampada, allora le medesime righe appaiono luminose. Lo spettroscopio è schematizzato in questa figura dalla fenditura e dal prisma, senza le lenti che in pratica sono necessarie per focheggiare lo spettro.

Fig.4) Spettro continuo con le righe di assorbimento dell'idrogeno (serie di Balmer) e del sodio (doppia riga del giallo)

Anche nello spettro delle stelle vi è la presenza di righe oscure che solcano la striscia iridata: una stella risulta costituita da un corpo ad alta temperatura, gassoso ma abbastanza denso da produrre uno spettro continuo, come se fosse un solido incandescente; è dalla superficie di questo corpo, detta fotosfera che proviene praticamente tutta la luce dell’astro.

Attorno alla fotosfera sta un involucro di gas trasparente che viene detto atmosfera della stella; lo strato più basso dell’atmosfera, quello a contatto con la fotosfera, più freddo e più denso, assorbe dalla luce continua le radiazioni proprie dei gas che lo costituiscono provocando le righe oscure che solcano lo spettro.

A partire dalla fine del secolo scorso si cominciarono a studiare gli spettri di centinaia di migliaia di stelle (Secchi, Donati, Huggins ecc.) arrivando, dopo una prima classificazione spettrale dovuta al Secchi, alla famosa e moderna classificazione di Harvard.

CLASSIFICAZIONE SPETTRALE DELLE STELLE

La classificazione di Harvard distingue sette classi spettrali contrassegnate nell’ordine dalle lettere O, B, A, F, G, K, M.

La classe O annovera le stelle azzurre, di più alta temperatura, la classe M le stelle rosse di più bassa temperatura.

Ecco le caratteristiche essenziali delle varie classi:

CLASSE O - Stelle bianco-azzurre di altissima temperatura fra 60.000° e 30.000° . Solo poche righe solcano lo spettro continuo e sono più che altro righe dell’elio neutro e ionizzato, nonchè deboli righe dell’idrogeno.

CLASSE B - Stelle bianco-azzurre sui 30.000° - 10.000° . Mostrano righe dell’elio neutro mentre non ci sono più quelle dell’elio ionizzato; le righe dell’idrogeno sono più intense che nella classe O.

CLASSE A - Stelle bianche di temperatura fra 10.000° e 7.500° . Le righe dell’idrogeno hanno in questa classe la massima intensità; compaiono deboli righe di alcuni metalli, come calcio e magnesio.

CLASSE F - Stelle bianche di temperatura fra 7.500° e 6.000° . Le righe dell’idrogeno, più deboli che nella classe precedente, sono ancora molto intense. Le righe dei metalli appaiono numerose.

CLASSE G - Stelle bianco-giallastre di temperatura fra 6.000° e 5.000° . Le righe dell’idrogeno sono ancora più deboli che nella classe F, mentre quelle dei metalli sono numerosissime ed intense: calcio neutro e ionizzato, ferro, magnesio, titanio, ecc. Quelle del calcio ionizzato (CaII), note come righe H e K, che cadono nel vicino ultravioletto, sono fra le più intense dello spettro.

CLASSE K - Stelle "fredde" di colore rosso-arancio. Essendo la temperatura compresa fra 5.000° e 3.500° lo spettro è fitto di righe dovute prevalentemente a metalli. Le righe dell’idrogeno sono assai deboli.

CLASSE M - Stelle ancora più fredde, avendo temperatura sui 3.000° e quindi color rossastro. L’atmosfera, cioè gli strati più esterni di queste stelle, contengono non solo elementi ma anche composti chimici e cioè molecole, le quali danno origine nello spettro a bande.

Ciascuna classe viene suddivisa in 10 sottoclassi o tipi, indicate con i numeri da 0 a 9 aggiunti alle lettere.

Quando un atomo viene ionizzato, l’elettrone che se ne va è il più esterno e perciò, nell’atomo ionizzato, il compito di emettere o assorbire resta affidato al più esterno degli elettroni rimasti. Questo però essendo più fortemente legato al nucleo, mette in gioco con i suoi salti differenze di energia maggiori e quindi assorbe od emette fotoni di maggiore energia e cioè di minore lunghezza d’onda che non l’atomo neutro.

Le righe spettrali dell’atomo ionizzato sono perciò spostate verso l’ultravioletto rispetto alle analoghe righe dell’atomo neutro. Se l’atomo viene ionizzato due volte, cioè se perde due elettroni, le righe risultano ancora più spostate: col crescere del grado di ionizzazione le righe si spostano sempre più verso il lontano ultravioletto.

Alle temperature altissime delle stelle di classe O, che riescono a rompere il fortissimo legame che unisce uno dei due elettroni al nucleo di elio, compaiono le righe dell’elio sia neutro che ionizzato. Ovviamente, anche tutti gli altri elementi sono ionizzati: l’idrogeno, avendo perduto il suo unico elettrone, è ridotto al solo nucleo, e non può dare righe spettrali; solo una piccola percentuale di atomi di idrogeno ha conservato l’elettrone e perciò piccola è la quantità di radiazione da questi assorbita e le righe di idrogeno appaiono molto deboli.

Gli altri elementi sono ionizzati più volte e le loro righe cadono per lo più nel lontano ultravioletto inosservabile da terra.

Nelle stelle di classe spettrale B, essendo più bassa la temperatura, la percentuale di elio è più bassa, anzi a partire dal tipo B6 è praticamente zero. Predominano invece le righe dell’elio neutro.

Nella classe spettrale A le righe dell’idrogeno predominano, perché ormai, a temperature sugli 8.000°, l’idrogeno è praticamente tutto neutro e quindi in grado di assorbire la radiazione proveniente dall’interno della stella.

Nelle classi successive, F e G cominciano a dominare le righe dei metalli facilmente ionizzabili, come il calcio, il ferro, il magnesio, il sodio, i quali solo a temperature così basse risultano neutri o ionizzati una sola volta; nella classe G cominciano ad apparire intense nel vicino ultravioletto una coppia di righe del calcio ionizzato una volta: sono le righe H e K.

Nelle classi spettrali K ed M la temperatura è abbassata a tal punto che nelle atmosfere di queste stelle cominciano ad essere presenti in gran numero anche molecole, cioè atomi legati fra loro.

Nelle molecole, il sistema dei livelli energetici possibili è assai più complesso che negli atomi perché gli atomi legati a formare la molecola interagiscono fra di loro in vari modi; perciò i livelli possibili sono suddivisi in sottolivelli talmente fitti e numerosi che al posto delle singole righe dello spettro compaiono gruppi di righe attaccate l’una all’altra a costituire larghe zone di assorbimento (o di emissione) dette "bande".

Come abbiamo visto, l’effetto delle diversità di temperatura spiega in maniera soddisfacente la diversità delle caratteristiche spettrali delle stelle.

L’intensità delle righe dell’idrogeno e la debolezza delle righe dei metalli nella classe spettrale A non significano affatto che queste stelle siano povere di metalli e che invece ne siano ricche le stelle di classe G dove le righe metalliche appaiono a migliaia.

Così pure non è che l’idrogeno sia abbondante nelle stelle di classe A e scarso nelle stelle di classe M:

In realtà tutte le stelle hanno composizione chimica quasi uguale, la loro massa essendo costituita per l’80% di idrogeno, per il 19% da elio e per il restante 1% dagli altri elementi.

by Pio Passalacqua - Gruppo Astrofili Palermo
 
 

 



 

Spettroscopia    Sezione di Ricerca UAI a cura di Fulvio Mete

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